Tassa di successione sulla rendita
Il fisco pesa sul passaggio generazionale quando è gestito attraverso il legato con onere. La rendita derivante dall’onere imposto al legatario beneficiario dell’azienda caduta in successione realizza una «rendita a tempo determinato» soggetta all’imposta sulle successioni. Lo chiarisce l’Agenzia delle entrate nella risposta a interpello n. 51, del 20 gennaio 2021. Se il legatario e il beneficiario della rendita hanno stabilito il valore della cosa legata e i tempi di pagamento, questa concorrerà, insieme agli altri elementi dell’attivo ereditario, alla formazione delle franchigie di cui all’art. 2, comma 48, del dl 262/2006.
L’imposta sulle successioni. L’articolo 2 del dl n. 262/2006 reintroduce l’imposta sulle successioni e donazioni, restando applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni contenute nel dl 346/1990 (Tus). L’imposta colpisce i trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte e quelli per donazione o altra liberalità tra vivi. Si considerano trasferimenti anche la costituzione di diritti reali di godimento, la rinunzia a diritti reali o di credito e la costituzione di rendite o pensioni. Pertanto, l’imposta sulle successioni si applica anche sui trasferimenti mortis causa derivanti dall’attribuzione di legato. In questo caso, nella determinazione della base imponibile occorrerà tener conto sia di eventuali oneri gravanti sul legatario, sia di quanto previsto dall’articolo 671 c.c., secondo il quale il legatario è tenuto all’adempimento del legato e di ogni altro onere, nei limiti del valore della cosa legata. Ai fini della determinazione dell’imposta, l’articolo 2, comma 48, del dl 262/2006 stabilisce le aliquote applicabili e le franchigie in relazione al grado di parentela o di affinità con il defunto.
Il caso. Il de cuius, titolare di una farmacia, nominava unico erede il coniuge e legatario il dipendente. Oggetto del presente legato, sul quale grava l’onere del pagamento di una rendita vitalizia a favore dell’erede, è proprio l’azienda. L’articolo 46, comma 3, del dl 346/1990 stabilisce che, in caso di legato con onere, il beneficiario si presume a sua volta legatario, in ragione dell’arricchimento che ne trae, con la conseguenza che sarà tenuto a indicare nella dichiarazione di successione anche il valore della prestazione di cui beneficia. Nel caso di specie, l’erede e il legatario stabilivano di comune accordo anche il valore economico da attribuire al legato, mediante incarico conferito a un professionista chiamato a valutare l’azienda, nonché i tempi e le modalità di pagamento. A questo punto, l’erede chiede alle Entrate se può determinare la base imponibile della suddetta rendita in misura pari al valore dell’azienda e tenendo conto, quindi, del limite imposto dall’articolo 671 c.c. Secondo l’istante, infatti, se l’onere del legatario non può superare il valore della cosa legata, per una «evidente» regola di simmetria, il beneficiario non potrà ricevere una rendita di valore superiore all’azienda caduta in successione, nonostante le disposizioni testamentarie. L’Agenzia delle entrate, nella risposta all’interpello 51 del 20 gennaio 2021, chiarisce che la rendita derivante dall’onere imposto al legatario realizza una «rendita a tempo determinato» e non una «rendita vitalizia» così come indicato nel testamento, dal momento che è stato stabilito dalle parti sia il valore della cosa legata che i tempi e le modalità di pagamento. Pur nel limite del valore della cosa legata, quindi, l’Agenzia ritiene applicabile quanto previsto dall’art. 17, lettera b). In virtù di tale disposizione la base imponibile, relativamente alle rendite e pensioni comprese nell’attivo ereditario, è determinata assumendo il valore attuale dell’annualità, calcolato al saggio legale di interesse e non superiore al ventuplo (attualmente 2000 volte) della stessa. In questa misura la rendita concorrerà unitamente agli altri valori dei beni compresi nell’attivo ereditario devoluti a favore del contribuente, alla formazione delle franchigie di cui all’art. 2, comma 48, del dl 262/2006.
Il legato d’azienda per gestire il passaggio generazionale. L’imprenditore può trasferire l’azienda non soltanto con un atto inter vivos, ma anche con successione mortis causa. Infatti, è possibile disporre un legato, avente a oggetto la proprietà o l’usufrutto, dell’azienda o di un ramo di essa. Nel nostro ordinamento viene disciplinata la cessione dell’azienda per atti inter vivos, ma non i trasferimenti mortis causa. In ragione di questo, sussiste la necessità di applicare in via analogica le regole sulla cessione e sull’usufrutto d’azienda contenute negli articoli 2556 e ss c.c. e coordinarle, eventualmente, con le regole sul legato, articoli 649 e ss c.c. Questo con particolare riguardo alla successione nei contratti, nei crediti e nei debiti aziendali. Se per il trasferimento dei contratti in capo al legatario trovano applicazione le disposizioni contenute nell’articolo 2558 c.c., diversa è la questione dei crediti e dei debiti aziendali. Riguardo ai primi, sull’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 2559 c.c., è opportuno che il testatore formuli il contenuto del legato in modo tale da disciplinare espressamente la sorte dei crediti aziendali. Con riferimento ai debiti, invece, la soluzione prospettata dalla Suprema corte prevede che il legatario sia tenuto a far fronte ai debiti aziendali risultanti dai libri contabili obbligatori, nei limiti del valore della stessa.